Incontrando Kafka – Settimo piano…

…dove, trovandoci appena all’inizio, accadono fin troppe cose!

Avevo appena terminato di farmi la doccia quando sentii il forno accendersi in cucina. Stavo in bagno da circa una mezz’oretta, ovvero da quando ero tornato a casa dopo il lavoro. Poiché vivo da solo all’ottavo piano di un palazzo inespugnabile, il rumore era giunto alle mie orecchie senza mancare di suscitarmi un po’ di apprensione. Chi poteva essere entrato in cucina, violando così uno dei principali diritti garantiti dalla nazione, ovvero il diritto di proprietà? Mi affrettai ad asciugarmi i capelli ed aprii lentamente la porta del bagno con indosso il solo accappatoio. La luce in cucina era chiaramente accesa e degli esseri ignoti conversavano in tono concitato, se non addirittura violento. Allora richiusi la porta del bagno, mi armai di un phon per i capelli e scivolai di soppiatto fuori dalla finestra, piombando sul bancone della signora Rita. Per fortuna la caduta fu assai rumorosa, cosicché venni subito notato dalla mia ospite.

“Non mi aspettavo di ricevere sue visite questa sera”, disse con malcelata irritazione, aggiungendo che suo marito già ronfava placidamente nel letto. Le spiegai che a casa mia c’era un intruso, ma lei scoppiò subito a ridere.

“E adesso, dato che casa sua è occupata, ha deciso di trasferirsi qui?”, chiese ritornando seria, evidentemente preoccupata da una tale risoluzione. Ma io la tranquillizzai subito, assicurandole che si trattava di un problema momentaneo e che anzi la mattina seguente tutto sarebbe stato senz’altro sistemato.

“Nel frattempo”, le dissi, “non potrebbe essere così gentile da prestarmi qualche vecchio vestito di suo marito? Son giunto a casa sua vestito solo di questo accappatoio, come può ben vedere”, e, dopo una breve pausa, aggiunsi: “Spero inoltre di non arrecarle ulteriore disturbo se mi concede di asciugarmi i capelli col phon. La notte è abbastanza fredda, temo che buscherei un brutto raffreddore”.

“Ma lei è un vero bambino! Ebbene, si senta libero come se fosse a casa sua. A proposito, vuole che chiami la polizia?”, chiese poi preoccupata.

“Non ce ne sarà alcun bisogno, signora Rita”, borbottai mentre attaccavo il phon alla spina. Nel silenzio della notte, la casa fu subito invasa dal frastuono dell’asciugacapelli sparato sulla mia testa. Il marito della signora Rita, tale dottor Mastracchi, accorse subito stropicciandosi gli occhi, evidentemente svegliato dal forte rumore: “Ma insomma”, sbottò rosso in viso, “Si rende conto di che ora è?”

“Mi scusi dottore, son davvero desolato… ma vede, ho un intruso in casa e proprio non sapevo dove recarmi”, gli gridai per farmi sentire nonostante il phon.

“Un intruso? E chi sarebbe costui?”, mi domandò seccato, ora completamente sveglio e anzi concentrato sul mio problema. Alzai le braccia in aria come a dire che non ne sapevo niente.

Quando finii di asciugarmi i capelli e di cambiarmi, il dottor Mastracchi m’invitò ad accomodarmi in salone, così da poter chiacchierare un po’ in tutta tranquillità. Mi parve che avesse qualcosa d’importante da confidarmi, e così mi misi in posizione d’ascolto, abbozzando un atteggiamento curioso.

“Mio caro”, disse con affetto, “Non riesco a smettere di pensare a quanto ti è accaduto. Mi sono appena ricordato che anni fa, mentre lavoravo in ospedale, un paziente mi raccontò di un fatto che presenta molte somiglianze col tuo”

“Veramente?”, esclamai sbigottito, “E cosa accadde a questo vostro paziente?”

“Purtroppo subì una morte tremenda… povero ragazzo!”

“Ah!”, gridai diventando pallido.

“Ma no, non si preoccupi! Quel poveretto era un caso disperato, mentre voi siete un giovanotto in forma, sano, senza alcun problema psichico. Eh eh, credetemi, sono un dottore: ci seppellirai tutti ragazzo mio!”

“Ebbene, proseguite con il racconto”

“Certamente! Vi dicevo che questo paziente era in condizioni assai gravi, senza speranza di guarigione, quando un giorno mi trattenne accanto a sé per raccontarmi quel che ora vi riferirò: ‘Dottore’, iniziò, ‘vi debbo raccontare nel dettaglio ciò che mi costringe a trovarmi in questa cupa condizione… Lei è un brav’uomo, saprà sicuramente capire che quel che dirò è unicamente il vero, semplicemente il vero!’, e poi s’interruppe per tirare un sospiro di sollievo. Ah ah, pensai allora, finalmente saprò la verità su questo ragazzo! Vede, in ospedale costui era un mistero, in tutto e per tutto!”

“Ma avrà avuto un nome?”, domandai sistemandomi meglio sul divano del dottore.

“È proprio questo il punto: egli asseriva di non avere un nome! Ma mi ascolti: io dissi al giovane: ‘Suvvia, figlio mio, mi dica tutto senz’indugio!’, e il giovanotto: ‘Dottore, quel che dirò deve rimanere un segreto tra noi. Me lo giuri, sennò non posso andare avanti.’, ‘Giuro, giuro, e ora il racconto!’, il giovanotto senza nome si sistemò sul suo lettino d’ospedale e, fissandomi con i suoi occhi penetranti, disse: ‘Ecco la mia confessione, caro signor dottore: io sono un buffone! O meglio, come direbbe Nietzsche, io sono il buffone del destino!’. Povero caro, pensai in quel momento, capitemi, il paziente mi sembrava un gran bel pazzo, uno di quelli che non fingono e, fuor d’ogni ragionevole dubbio, abbisognano di certi trattamenti… cosa stavo dicendo?”

“Dicevate, dottor Mastracchi, che quel tipo vi sembrò assai disturbato.”

“Ah, sì! Comunque sia preferii far finta di nulla, in quanto mi premeva di conoscere il suo racconto”

“Ma sapete che adesso anche io sento una grande urgenza di sapere che vi ha detto? Parlate dottor Mastracchi, dilungatevi se volete: basta che s’arriva da qualche parte!”.

A queste mie parole il dottore arrossì, si soffiò il naso e poi gridò con il volto stravolto dall’orrore: “Sentite! C’è qualcuno che colpisce la porta di casa!”

In effetti all’ingresso si sentiva un gran fracasso, come se il disturbatore stesse tirando dei pesanti cazzotti addosso alla porta anziché bussare in modo normale. La signora Rita accorse e avvicinò l’occhio allo spioncino nell’esatto momento in cui una vociona irritante diceva: “Aprite subito, sono un filosofo!”

Nel frattempo il dottor Mastracchi aveva raggiunto la moglie, con cui confabulò per un po’ sottovoce. Alla fine decisero di aprire la porta: si manifestò immediatamente ai nostri occhi una fisionomia ciclopica, tracotante, impettita, che presentava all’estremità superiore una testa nuda e lucidata. Gli occhietti del gigantesco intruso si piantarono subito su di me, e pareva volessero incolparmi di qualcosa. Poi, rivolgendosi ai padroni di casa:

“Mi contrista, cari signori, dovervi disturbare in un’ora così tarda, ma a condurmi qui sono dei motivi invero estremamente seri”. Quel pelato di un filosofo cadenzava le sillabe nel modo più pedantesco possibile; c’è da presumere che avrebbe continuato per chissà quanto tempo, quando la signora Rita lo interruppe bruscamente:

“Insomma, cosa vuole ora anche lei? In questa casa abbiamo già un ospite, non posso mica far entrare ogni persona!”

“Sta bene”, rispose il nuovo venuto, “E io non sono giunto fin qui infatti per farmi ospitare, cara signora! Le garantisco anzi che mi vedrà andar via quasi subito, mi occorre giusto qualche attimo per ricondurre quest’uomo a casa sua”, aggiunse indicandomi col pingue dito.

“Ah, così è stato lei a entrare nella mia cucina e ad accendere il mio forno?”, dissi calcando per bene l’accento sui due pronomi possessivi che testimoniavano a discredito del mio offensore, ma venni completamente ignorato.

“Se lo porti pure via”, replicò infatti con un sorriso la signora Rita al filosofo.

“No, non portatelo via! Fatemi almeno finire la mia storia!”, proruppe il dottor Mastracchi con tono supplichevole, rivolgendosi ora alla moglie e ora all’intruso.

Compresi allora che la situazione si stava facendo davvero critica, e che dovevo sbrigarmi ad agire: per prima cosa diedi un bel pugno sul grugno del filosofo, che cadde tramortito, poi corsi verso il balcone della signora Rita e, lasciandomi alle spalle i pianti supplichevoli del mancato narratore dottor Mastracchi, mi gettai di sotto, scendendo ancora di un piano.

Simone Fontana

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